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Laurea STEM per il lavoro, a che punto siamo?

 

Se ne discute molto, sui giornali come nelle aule universitarie. Se ne discute tra chi cerca un futuro nell’innovazione tecnologica, magari in ambito IT, ma anche tra imprenditori e dirigenti che cercano professionisti da inserire nei propri organici. Parliamo delle materie STEM, acronimo per Scienze, Tecnologia, Ingegneria e Matematica. Discipline strategiche per lo sviluppo economico e sociale del nostro paese, discipline di cui le aziende hanno grande consapevolezza e tanto bisogno. Ma c’è un problema. In Italia, solamente uno studente universitario su quattro è iscritto a una facoltà STEM (il 27% del totale. Fonte: Almalaurea), per un mercato che vale fino a un milione di posti di lavoro. Eppure, oggi, un’azienda su quattro, il 23%, che apre la ricerca di profili STEM non riesce poi a trovarli.

 

Quali sono le 10 professioni più ricercate oggi, secondo gli esperti? Analisti e progettisti di software; Insegnanti di lingua e di arti applicate; Ingegneri chimici, petroliferi e dei materiali; Ingegneri elettrotecnici; Ingegneri energetici e meccanici; Addetti stampa, social media manager, esperti; Dirigenti generali nell’industria; Progettisti e amministratori di sistemi informatici; Tecnici di controllo di gestione e della produzione; Ingegneri elettronici e delle telecomunicazioni. Ben sette su dieci vedono la dimensione digitale come fattore centrale. La società Indeed, uno dei più grandi marketplace del lavoro su scala mondiale, ha condotto un’indagine su annunci e ricerche effettuate sul dominio italiano del portale negli ultimi dodici mesi; nel nostro Paese la domanda delle aziende supera l’offerta per quanto riguarda le professioni a più alto contenuto tecnologico. Ingegneria e analisi dei dati restano gli ambiti con le maggiori opportunità professionali per i giovani.

 

È indubbio che non vi sia un grande affollamento nelle facoltà tecnico scientifiche, al che sorge la domanda: perché i giovani sono ancora così timidi e titubanti nei confronti di studi STEM? Le risposte sono diverse. Sicuramente le famiglie esercitano ancora una notevole influenza nella scelta, mentre i servizi di orientamento offerti dalle scuole hanno un peso ancora troppo marginale. Ne consegue che i neodiplomati sono abbandonati a loro stessi nelle scelte formative e non riescono a cogliere le potenzialità offerte da un percorso di studi STEM. Ancora, le discipline STEM troppo spesso appaiono complicate o noiose agli occhi degli studenti, colpa anche di una scuola dai metodi di insegnamento antiquati, talvolta fumosi, spesso solo teorici e poco inclini alle applicazioni pratiche. Se a questo si aggiunge il persistente immaginario del nerd rinchiuso in una stanza buia a programmare 8 ore al giorno, la frittata è fatta. Chi si allontana da percorsi scientifici in giovane età difficilmente vi ritorna, mentre soltanto il 10% degli studenti di scuole secondarie “non Stem” si iscrive a facoltà STEM.

 

Non sentirsi a proprio agio con la matematica e le materie scientifiche è un tratto comune a tanti italiani, ci basti fare un rapido sondaggio tra amici e domandare quanti amassero la matematica alle scuole superiori. Pesano ancora parecchio gli stereotipi associati alle professioni STEM, dal professore sottopagato fino all’informatico nerd: tutti bias cognitivi associati alle mansioni di impronta tecnico-scientifica e che risultano ancor più marcati tra le donne, sebbene in questi ultimi anni le donne vadano assumendo ruoli e posizioni di primo piano nel mondo IT (si legga la nostra intervista a Marcella Tincani). Tornando all’indagine Indeed, emerge come il 30% degli annunci di ricerca di programmatori software e di personale IT rimangono scoperti per 60 giorni e più, mentre si sale oltre il 35% per i professionisti nel campo dell’analisi dei dati e della matematica. È evidente che le persone disponibili sono in numero inferiore alla richiesta.

 

Porre rimendo a questo “talent mismatch”, ovvero la distanza tra domanda e offerta, non è semplice. Una delle possibili strade è la contaminazione. Il mercato del lavoro STEM sta assistendo a una crescente ibridazione e la ricerca di persone si sta in parte dirigendo sulle digital humanites, quel campo di studi e di ricerca che nasce dall’unione di discipline umanistiche e informatiche. Inclusa la divulgazione della conoscenza attraverso i media informatici. Poi c’è la creazione di un humus culturale fertile, a cominciare dai giovanissimi. Facendo passare il messaggio che la tecnologia sorprende, diverte, arricchisce, apre la mente. Ad esempio i corsi di coding, scratching, imparare a programmare giocando e divertendosi. Noi di Energee3 lo stiamo già facendo da qualche anno, ma si può e si deve fare di più. Fare pratica, superare bias culturali, contaminarsi.

 

C’è poi tutto il grande capitolo, sociale ed economico, del digital divide femminile. Esiste un gender gap femminile sulle materie scientifiche che va colmato. In che modo? Favorendo il lavoro delle associazioni no profit che se stanno occupando, organizzando attività di networking, avvicinando sempre più ragazze alle materie Stem già dalle scuole medie, su coding e robotica. Mettendo in rete storie di donne e uomini che pur tra mille difficoltà hanno ottenuto ruoli e risultati di valore. E ancora l’attività di mentoring, così importante per le neolaureate. Non meno decisivo l’orientamento scolastico verso le materie STEM. Lo sta facendo Floriana Ferrara, direttore Fondazione IBM Italia, con il progetto NERD (Non È Roba per Donne) che da dieci anni porta fisicamente migliaia ragazze tra i 15 e i 18 anni all’interno dei laboratori scientifici, facendole avvicinare alla scienza, alla tecnologia, all’informatica. Ne è prova il dato che al Politecnico di Bari si è arrivati al 40% di iscritte ai corsi di laurea in materie scientifiche, partendo da zero. Che soffi un vento di cambiamento al femminile, ne sono consapevoli in tanti. A cominciare dalle donne stesse.

 

 

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