Social network e politica. Mentre scriviamo, sono trascorsi pochi giorni dall’ultimatum di Trump a TikTok: o l’azienda diventerà americana o verrà bannata dal paese. Sì, avete capito bene: il presidente del paese più ricco e potente al mondo se l’è presa con un social network (cinese). Ma riavvolgiamo il nastro e torniamo a qualche mese fa: cosa c’entra TikTok nella guerra fredda, tutta hi-tech, tra Usa e Cina? Il popolare social network di canzoni e balletti, di proprietà del colosso digitale cinese ByteDance, stando all’Amministrazione Usa sarebbe in possesso di dati tali da minacciare la sicurezza nazionale. Una questione politica seria, dunque. Inoltre, secondo il Wall Street Journal, TikTok pratica la censura: nulla su piazza Tienanmen né sulle proteste a Hong Kong e nemmeno sulle manifestazioni Black Lives Matter o altri contenuti di tipo politico. Dal canto loro i manager cinesi di TikTok respingono le accuse di censura, spiegando, tra le altre cose, che la rimozione di milioni di video è dovuta ai tatuaggi, vietati in Cina, e la conseguente “rimozione” di video con persone tatuate.
Soldi, geopolitica, marketing, Big Data, strategie internazionali, trend di consumo, controllo delle reti, controllo delle news, sistemi di pagamento e molto altro ancora. I social network sono il cuore pulsante della vita di oltre 5 miliardi di persone in tutto il mondo. Sui social tutto viene tracciato, tutti sono profilati, tutto ha un corrispettivo economico, diretto o indiretto. Come ben sappiamo, i dati vengono forniti da noi, gratuitamente. Oppure si paga per sponsorizzarli. Ecco spiegato perché i vari Facebook, TikTok, Twitter, Telegram sono superpotenze in grado di mettere paura agli stati sovrani. Ecco perché la politica fatica a imporre le giuste regole (e tassarli al pari di altre corporation). Un accesso primario ai dati che corrono sui social significa disporre di un grande vantaggio geostrategico. Se è vero che l’innovazione digitale e i nuovi standard di telecomunicazione rappresentano certamente una questione di sicurezza nazionale, non vi è dubbio che le nuove alleanze politiche sono di fatto delle alleanze digitali, tra Stati sovrani e grandi aziende, e che il concetto stesso di sovranità nazionale si sovrapponga sempre più spesso agli spazi virtuali di transito dati. Su questo i social network fanno la parte del leone, sono quasi imbattibili. Lo sanno bene in Facebook, che nei paesi in via di sviluppo dà accesso gratuito a Internet a condizione di avere un account sul loro social.
Reality is that which, when you stop believing in it, doesn’t go away. (Philip K. Dick)
Ma esattamente, che cosa facevamo su Internet prima dell’avvento dei social network? È una domanda che si legge spesso in rete, suscitando ilarità e qualche perplessità. Cresce infatti il nostro tempo trascorso sui social, che per molti sono l’unica fonte di informazione, oltre che di intrattenimento: una media di due ore al giorno per 35 milioni di italiani. Per i giovanissimi i social coincidono perfettamente con la loro esistenza. E grazie ai social condividono e alimentano mode e tendenze. Senza i social sarebbe mai stato immaginabile che una pop band coreana, i BTS nello specifico, sfondasse commercialmente anche dalle nostre parti? In questo articolo se ne parla in modo acuto e argomentato. Certamente i social hanno un importante valore sociale e comunicativo, si pensi al ruolo di tam-tam mediatico durante la Primavera araba, certamente i social network si rivelano molto utili per operazioni di crowdfunding o di diffusione di buone pratiche, certamente possono rivelarsi molto invasivi nella vita privata, come ben raccontato nel film The Circle. E certamente hanno prodotto e continueranno a produrre le “storture rappresentative” di cui abbiamo evidenza e che quotidianamente scorrono sui nostri feed.
Che i social network siano sempre più sistemi di comunicazione interpersonale è evidenziato dalle mosse di Facebook che, dopo aver acquisito prima Instagram e poi WhatsApp, sta perfezionando in queste settimane (al momento solo per utenti americani) l’unificazione della messaggistica: Messenger unita al Direct di Instagram, cui si aggiungerà presto anche WhatsApp. È un fatto rilevante che i sistemi di messaggistica di due importantissimi social si uniscano alla più diffusa App per telefonini, con tutte le implicazioni a livello sia lato esperienza utente sia lato analisi e conservazione dei dati. Le grandi miniere di dati stimolano infatti gli appetiti di hacker o malintenzionati, pronti a mettere le mani su immensi database contenenti nomi e cognomi di utenti, foto profilo, descrizione e statistiche di traffico, numeri di telefono ed e-mail personali. E c’è da scommettere che la cybersecurity sarà un tema sempre più decisivo.
Com’è umano avere un segreto, è anche umano, prima o poi, svelarlo. (Philip Roth)
Se Instagram chiederà la carta di identità per combattere gli account fake, è certo che di fake circolano soprattutto le news. Negli anni scorsi il social guidato da Mark Zuckerberg è stata spesso criticato per non aver combattuto adeguatamente la pubblicazione di fake news. Qualche mese fa l’annuncio della cancellazione di oltre 7 milioni di fake news e oltre 98 milioni contrassegnate come non affidabili, in particolare news relative al Covid-19. Ma è sufficiente tutto questo? Quanto pesano le imminenti elezioni presidenziali americane in questo scenario? Un discorso diverso riguarda Twitter, il popolare social dei cinguettii che prima ha preso posizione contro alcuni tweet del presidente Trump, e di recente ha introdotto un’importante modifica che consente a tutti gli utenti di controllare meglio le conversazioni e le relative risposte, scegliendo chi può rispondere e chi no. Una customizzazione, spiega Twitter in una nota, per escludere che “eventuali risposte indesiderate non si intromettano in conversazioni significative”. Insomma, meno troll e meno aggressività per il social più amato da politici e giornalisti.
Anche per i brand di cui già abbiamo parlato in questo articolo, grandi o piccoli che siano, non esistono contenuti che non vengano rilanciati sui social network, in una sorta di mega selfie collettivo con cui si presenta e ci si promuove in modo continuo. È grazie a questo che noi consumatori scopriamo i prodotti bio da acquistare, al pari del libro o del nuovo film o della vacanza alternativa. è così sappiamo di eventi o che sosteniamo una campagna social o che diventiamo follower di qualche personaggio o intellettuale (ma che, per snobismo, ci rifiutiamo di chiamare influencer). Ma c’è chi, come il celebre Seth Godin in questa bella intervista, invita i brand a fermarsi e a riflettere. A mettersi cioè all’ascolto, a proporre una “storia credibile, autorevole, onesta, coerente”. Non provare a piacere a tutti e a conquistare numeri sempre crescenti di follower quanto piuttosto a focalizzarsi sulla creazione di una propria identità e di un proprio mercato, anche su piccola scala.