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Green cloud

Una nuvola verde. Per l’economia e per l’ambiente.

Nel suo primo discorso al Parlamento, lo scorso 17 febbraio, il nuovo premier Mario Draghi ha elencato una serie di temi centrali per dare impulso all’innovazione tecnologia del Paese: cloud computing, intelligenza artificiale, tecniche predittive per l’elaborazione dei dati, banda larga e 5G. È la prima volta che un primo ministro davanti alle Camere parla in modo così esplicito. Ma l’aspetto forse più interessante è l’aver collegato tecnologie e questione ambientale, in particolare la produzione di energia da fonti rinnovabili, la riduzione dell’inquinamento, la distribuzione dell’energia, le auto elettriche e l’idrogeno.

L’ESPLOSIONE DEL CLOUD

Buone notizie, dunque? Sicuramente buone intenzioni, anzi ottime. Come sempre il problema sarà realizzare le cose, farle succedere. Ma soffermiamoci su uno dei punti citati da Draghi: il cloud computing. Del cloud conosciamo gli aspetti pratici, che consente di archiviare dati in remoto, sulla nuvola appunto, saltando cioè il tema dall’obsolescenza degli hardware di archiviazione e del tempo da dedicare all’aggiornamento dei software. Senza parlare della convenienza economica: 2 terabyte di spazio su Google Drive costano 100 euro all’anno, lo stesso spazio su Dropbox viene circa 20 euro in più, un prezzo analogo a quello di Amazon Web Services. Ma ovviamente esistono migliaia di società semisconosciute che offrono spazio di archiviazione dati a prezzi davvero bassissimi.

SMART AND CLOUD

Se in tempi di smart working è vitale la condivisione in remoto di documenti con i colleghi, ragione per cui i servizi cloud sono cresciuti moltissimo nel 2020, merito anche di reti sempre più veloci che consentono un accesso rapido a tutti i nostri dati e il backup online. Ma torniamo alla questione ambientale, di cui i data center sono sia il problema che la possibile soluzione. Essendo il dato il mattone su sono costruite le nostre economie, ed essendo i data center i magazzini connessi tra loro dove vengono depositati questi mattoni, non v’è dubbio che la rete mondiale sia un sistema complesso ancorché vitale con molteplici attori che si integrano e che competono tra di loro, senza considerare altre variabili di tipo politico, geopolitico e giuridico (norme sui dati). Anche solo il classificarli è un’impresa ardua.

LA CENTRALITA’ DEI DATACENTER

Secondo uno studio Cushman & Wakefield, negli ultimi dieci anni sono stati investiti più di 100 miliardi di dollari nella realizzazione di datacenter. Con un salto quantico: da centri di calcolo da 10 megawatt nel 2010 fino all’odierna in produzione di datacenter da 30 Mw, con riferimento al consumo energetico unitario: alimentazione dei sistemi e loro raffreddamento. Per soddisfare la domanda di storage per cloud e analisi Big Data, i datacenter stanno sfondando il muro degli Zettabyte (1000 miliardi di miliardi di Byte) processati ogni anno. A questo si aggiunge l’impronta energetica di tutti i device del pianeta, pc tablet dispositivi mobili, che insieme a server e reti fanno crescere il consumo globale di energia al ritmo del 9% annuo.

SOBRIETA’ DIGITALE?

Se da un lato lo sforzo dei produttori è creare dispositivi che consumino sempre di meno, il problema resta: il traffico dei dati cresce molto più velocemente rispetto al risparmio energetico generato dall’efficientamento di produzione e consumi. Le regole della termodinamica non sono cambiate, il silicio e i transistor non sono efficienti nel lavoro di spostamento degli elettroni e disperdono molto   calore, ragione per cui metà dell’energia di un data center va nel raffreddamento. Si calcola che di questo passo nel 2040 il 14% delle emissioni di CO2 sul pianeta verranno dai data center. Una questione che è molto chiara al nuovo ministro per la transizione ecologica Roberto Cingolani. Il quale parla apertamente di sobrietà digitale in termini di riequilibrio tra benefici del digitale e costi energetici.

DALLE PARTI DI BOLOGNA

Non solo cloud, si sta aprendo l’era del 5G e dell’Internet of Things, già matura è la stagione dell’Intelligenza artificiale. Questa nuova economia ha assoluto bisogno di connessioni sempre più veloci, di latenza tendente allo zero, di una distribuzione geografica dei centri di calcolo, anche in ragione delle leggi sul trattamento dei dati. Insomma, sempre più energia. Per ovviare a datacenter energivori ci sono delle buone notizie. A Castel San Pietro, in provincia di Bologna, esiste 00Gate, l’unico data center a emissioni zero attivo in Europa meridionale. Sempre a Bologna c’è Lenovo con il progetto Neptune, sviluppato su sistemi di raffreddamento a liquido, che riducono i consumi e aumentano la sostenibilità delle infrastrutture, riducendo così l’impatto ambientale.

UN’ECONOMIA DELLA MEMORIA

Dell’importanza dei datacenter ci accorgiamo durante i vari down del sistema, non ultimo il #googledown del 13 dicembre 2020. “Se un gigante del web come Google va in ginocchio in diverse parti del pianeta, la faccenda è seria”, scriveva il quotidiano La Repubblica. Il problema? Internal storage quota issue, hanno fatto sapere da Mountain View. Troppo sovraccarico sui data server statunitensi. Il punto è che tutta l’economia digitale è nei fatti un’economia della memoria. Una memoria immateriale fatta di byte archiviati in luoghi molto materiali quali i datacenter. Che non soltanto necessitano di capienze sempre maggiori ma che, in quanto luoghi fisici, vanno incontro a usura, logoramento, danneggiamento, possibilità di intrusione o di fuoriuscita di informazioni. Il problema dell’economia digitale e del cloud è pensare a nuovi standard della conservazione della memoria, migliorando affidabilità e integrità. E migliorare gli strumenti legislativi a tutela della privacy delle persone. Imparando dagli errori e dalle falle aperte in questi anni. L’economia della memoria ha bisogno di buona memoria.

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